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RIVER

River2002©Franck, carboncino, grafite B4, B 0.5, pastelli su cartoncino champagne 30x45.

Io ammiravo la forza espressiva di River. 
Ricordo di aver esultato per la sua vittoria della Coppa Volpi al Festival del cinema di Venezia, nel 1991. E ricordo amaramente pure di essere rimasta fuori dall'unico cinema di Roma dove proiettavano "Belli e Dannati" - titolo di libera invenzione per "My Own Private Idaho" di Gus Van Sant - perché era censurato ai minori di 14 anni in Italia. 
Ora che avrei potuto vedere il mio River sul grande schermo, anziché in TV spezzettato da pubblicità irritanti, tutto mi svaniva davanti un "No". 
Tuttora è vivo davanti ai miei occhi nelle sue scene più potenti da "Vivere in fuga", "Nikita - Spie senza volto", "Mosquito Coast", ma soprattutto nel ruolo di Devo in "Ti amerò... fino ad ammazzarti". 
Studiando i suoi lineamenti, avevo immaginato che River potesse finalmente incarnare sullo schermo il mio poeta preferito - Arthur Rimbaud. 
Poi il buio. Una ridicola festa, una mancanza totale di Amore e di Rispetto della vita - 31 Ottobre 1993. 
Per me come per mia sorella e per milioni di cinefili di tutto il mondo, già quella giornata era stata traumatizzante - Federico Fellini. Si poteva percepire uno sgomento in giro per Roma, in una radiosa ottobrata Romana. 
La scomparsa di River, su un marciapiede di Sunset Boulevard in Italia è passata come quando si versa un bicchiere d'acqua nel mare. 
Allora ho quantificato come fosse tutto relativo, anche la scomparsa di una persona di enorme potenziale, unica nel suo stile, così forte da calamitare l'interesse da diverse nazioni e culture. 
River era un'equazione lasciata incompiuta sulla soluzione. 
Solo dopo, la logica dei media dello spettacolo si è resa conto che una tessera mancava nel mosaico: ha incominciato a cacciare fuori doppioni, ha ritagliato tessere di valore pur di far collimare il vuoto lasciato da River, ha sottolineato ancora di più il senso di spreco. 
Ricordo di aver trovato un anno dopo a Londra il VHS di "My Own Private Idaho" e una piccola biografia di Brian J. Robb, "River Phoenix: a short life". Nelle sue pagine, c'erano tante stupende foto di River, dagli esordi fino agli ultimi film. 
Finalmente nel ferragosto del 2002 mi sono decisa a ritrarre River. Qualche anno dopo, la sua filmografia mi ha aiutato a scrivere la mia tesi di Laurea sul "Giovane Ribelle - fra cinema, cultura e letteratura dagli anni '50 al 2005". 
Ho scelto lo scatto preso dal mio film preferito di Gus Van Sant "My Own Private Idaho", proprio quando il suo personaggio è furente e disilluso, stringendo un girasole. La scena del funerale di Bob, il Maestro Psichedelico, il Falstaff di quella comunità di ragazzi di strada. 
Quel fiore innamorato dell'ultimo sole dell'Estate non riesce a staccare il proprio essere da quella stella assoluta, infuocata, che porta vita e morte insieme; lo imita nell'aspetto e lo segue fino alla fine del giorno, dimenticandosi di sé. 
Lo sguardo di River Phoenix mi ha catturato, perché io l'ho sempre visto così - obliquo, furioso, divertito, amareggiato ma di una intensità rara, come quando un raggio di luce attraversa un diamante sagomato. 
Ho disegnato in grafite B4, in carboncino il chiaroscuro, infine i dettagli in grafite B 0,5. Alla fine sono rimasta a guardarlo. Quell'enorme corolla gialla richiamava il ciuffo dei suoi capelli scompigliati - era la vita e meritava la giusta attenzione... i pastelli raccontavano la sua luce. 

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